Teatro

Alessio Maria Romano e il suo "Maleficio", tra corpo, danza, teatro e radiofonia

Alessio Maria Romano e il suo "Maleficio", tra corpo, danza, teatro e radiofonia

Appartiene alla nuova generazione di attori che considerano l’uso del corpo in teatro, altrettanto importante come quello della voce, della luce e del suono.

Sta trovando spazio, nel panorama della nuova ricerca teatrale italiana, una nuova generazione di attori che cercano di sviluppare maggiormente il linguaggio del corpo in teatro. In Italia, si sa, a differenza dall’ America o da molti altri paesi, l’essere attore è ancora un mestiere un po’, come dire, a compartimenti stagni. Chi sa usare bene la voce spesso non ha una buona padronanza del proprio corpo e viceversa, oppure non sa cantare. Dall’altra per esempio, anche il cantante lirico che lavora in teatro ha poco dimestichezza con i movimenti di scena.

Alessio Maria Romano, in scena dal 29 al 31 ottobre e dall’8 al 10 novembre al Teatro Sala Fontana di via Boltraffio a Milano con “Il Maleficio” appartiene invece a quella nuova generazione di attori che considerano l’uso del corpo in teatro, altrettanto importante come quello della voce, della luce e del suono.

Dopo essersi diplomato attore nella Scuola del  Teatro Stabile di Torino, in seguito si è diplomato in “Analisi del Movimento Laban/Bartenieff” e in 3-D WorkOut con D. Woodruff, approfondendo così il suo interesse per il movimento scenico e la pedagogia del movimento. Tra le tante esperienze fatte, ha alternato all’attività di attore una stretta collaborazione con Maria Consagra, della quale diventa assistente, affiancandola nella realizzazione dei movimenti scenici di Itaca e del progetto Domani di Luca Ronconi. Sempre per Ronconi ha realizzato i movimenti scenici di Fahrenheit 451 e  della Turandot e ha studiato danza con Raffaella Giordano all’interno del percorso biennale “Scritture per la danza Contemporanea” presso il Teatro Stabile di Torino.

Alessio Maria Romano, come nasce questo “Il Maleficio” presentato da Proxima Res e da lei definito “Ascolti e visioni” da “Il maleficio della farfalla di Garcia Lorca. Si tratta del suo primo spettacolo?

E’ il mio primo lavoro come autore, nel quale cerco di approfondire proprio il discorso dell’uso del corpo in teatro. Un aspetto che fino a poco tempo fa era relegato nelle scuole di teatro come “corso di mimo” e in generale un po’ trascurato dagli stessi registi e direttori di teatro che ogni tanto chiamano un coreografo per curare alcuni movimenti di scena degli attori E’ invece necessario per ogni attore cercare una propria spazialità, una percezione personale dello spazio scenico in cui agisce.

Come mai propria la scelta di un testo così poco conosciuto di Garcia Lorca come “Il Maleficio della farfalla” ?

Il titolo originale è El maleficio de la mariposa ed è la prima opera teatrale del poeta e drammaturgo spagnolo Federico García Lorca. Scritta nel 1920  fu messa in scena lo stesso anno al Teatro Eslava di Madrid con la ballerina Encarnación López Júlvez, soprannominata La Argentinita, nel ruolo della Farfalla, e Catalina Bárcena nel ruolo dello Scarafaggio. Non fu ben accolta da parte del pubblico, e venne cancellata dopo essere stata rappresentata soltanto quattro volte.

Ritiene che Lorca sia stato ispirato da Kafka che aveva scritto già nel 1915 la Metamorfosi?
Potrebbe essere,  quello che so per certo è che all’inizio doveva essere un testo teatrale per marionette mentre  in seguito venne ripensato per gli attori. Ciò che emerge dal testo è la prevalenza di una fisicità molto forte, visto e considerato che gli attori dovevano lavorare con il corpo per rappresentare degli animali. Ovviamente la prima messa in scena di Lorca a Madrid fu un fiasco. I personaggi in scena erano tutti vestiti da scarafaggi e fu un disastro. La storia racconta di un alcuni scarafaggi  su un prato che vedono volare una farfalla e si innamorano di lei. Chiaro che il nucleo di interesse di Lorca era quello di fare un discorso sulla diversità e sulla accettazione di questa.

Dunque le interessava rappresentare il corpo di un attore che interpreta quello di un animale?

Sì, anche se però poi sono giunto alla conclusione che questo testo non ha corpo, ma in realtà è radiofonico, nel senso che il pubblico, il quale interagisce con me, viene invitato nella scatola scenica del teatro ad ascoltare una sorta di radiodramma. Agli spettatori viene chiesto di chiudere gli occhi e ad immaginare. Infatti la mia formazione, che viene dalla tecnica Laban, risale proprio alla grammatica del movimento, come nasce e come può dissociarsi anche dalla voce.

Sa che oggi esiste effettivamente questo problema della definizione dei generi teatrali, dunque definirebbe il suo “Maleficio” uno spettacolo di teatrodanza?
Più che altro lo definirei uno spettacolo di danza, teatro, voce, suono, ascolto.  Erano nato poco tempo fa come uno studio presentato alla Triennale della Bovina, ed ora finalmente “Il Maleficio” è diventato un vero e proprio spettacolo.